La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 82 depositata il 13 aprile 2017, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, ottavo comma, della legge 29 maggio 1982, n. 297, nella parte in cui non prevede che, nell’ipotesi di lavoratore che abbia già maturato i requisiti assicurativi e contributivi per conseguire la pensione e percepisca contributi per disoccupazione nelle ultime duecentosessanta settimane antecedenti la decorrenza della pensione, la pensione liquidata non possa essere comunque inferiore a quella che sarebbe spettata, al raggiungimento dell’età pensionabile, escludendo dal computo, ad ogni effetto, i periodi di contribuzione per disoccupazione relativi alle ultime duecentosessanta settimane, in quanto non necessari ai fini del requisito dell’anzianità contributiva minima.

Sostanzialmente, nel calcolo della quota retributiva del trattamento pensionistico, il lavoratore deve avere il diritto di escludere i periodi, ricadenti nelle ultime duecentosessanta settimane, in cui percepisca contributi per disoccupazione. Tali ultimi, infatti, penalizzerebbero il lavoratore che ha già maturato il diritto alla pensione, in quanto a maggior lavoro e a maggior apporto contributivo, corrisponderebbe una riduzione della pensione che il lavoratore avrebbe maturato al momento della liquidazione della pensione per effetto della precedente contribuzione. Ne risulterebbe danneggiato il lavoratore che continua a lavorare o venga figurativamente considerato al lavoro, dopo aver maturato un certo importo di pensione.

Diversamente, la stessa Corte ha dichiarato l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, ottavo comma, della legge n. 297 del 1982, nella parte in cui non prevede il diritto alla «neutralizzazione» dei periodi di contribuzione per disoccupazione e per integrazione salariale anche oltre i limiti del quinquennio.