La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 33311 del 27 agosto 2012, ha stabilito che l’azienda è responsabile della morte del lavoratore esposto all’amianto e, quindi, i dirigenti rispondono di omicidio colposo, anche se il decesso è avvenuto in tarda età.
È del tutto inaccettabile, secondo la Suprema Corte, la tesi della “dose killer” (c.d. trigger dose), ovvero dell’esposizione iniziale che, da sola, può provocare la malattia e che pertanto renderebbe ininfluenti tutte le esposizioni successive. L’impresa, infatti, è responsabile per tutta la durata dell’esposizione all’amianto.
Aggiunge, inoltre, la Cassazione che sussiste il nesso di causalità tra l’omessa adozione da parte del datore di lavoro di idonee misure di protezione e il decesso del lavoratore in conseguenza della protratta esposizione alle polveri di amianto, quando, pur non essendo possibile determinare l’esatto momento dell’insorgenza della malattia, deve ritenersi prevedibile che la condotta doverosa avrebbe potuto incidere positivamente anche solo sul tempo di latenza.