Anche i telelavoratori possono essere considerati una categoria di dipendenti
A cura della redazione

L’Agenzia delle entrate, con la circolare 5E/2018 ha precisato che il legislatore, a prescindere dall'utilizzo dell'espressione "alla generalità dei dipendenti" ovvero a "categorie di dipendenti” non riconosce l'applicazione delle disposizioni elencate nel comma 2 dell'articolo 51 del TUIR ogni qual volta le somme o i servizi ivi indicati siano rivolti ad personam, ovvero costituiscano dei vantaggi solo per alcuni e ben individuati lavoratori.
Con le predette locuzioni il legislatore ha voluto riferirsi alla generica disponibilità di opere, servizi o somme ecc. verso un gruppo omogeneo di dipendenti, anche se alcuni di questi non fruiscono di fatto delle predette “utilità”.
Infatti, continua l’Agenzia delle entrate, l’espressione “categorie di dipendenti” non va intesa soltanto con riferimento alle categorie previste nel codice civile (dirigenti, operai, etc.), bensì a tutti i dipendenti di un certo tipo (ad esempio, tutti i dipendenti di un certo livello o di una certa qualifica, ovvero tutti gli operai del turno di notte ecc.), purché tali inquadramenti siano sufficienti ad impedire, in senso teorico, che siano concesse erogazioni ad personam in esenzione totale o parziale da imposte.
Quanto precisato dall’Agenzia delle entrate porta a ritenere che possano essere considerati una categoria di dipendenti anche i lavoratori assunti con un contratto di telelavoro che svolgono la lavoro attività prevalentemente presso il loro domicilio.
Ciò che importa è che il telelavoratore non sia l’unico dipendente con tale tipologia contrattuale presente in azienda, altrimenti il riconoscimento di beni e servizi si tradurrebbe in un’erogazione ad personam e come tale esclusa dai benefici fiscali previsti dal citato art. 51, c. 2 del TUIR.
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