È illegittima una norma che consenta di stipulare due o più rapporti di lavoro a termine, della stessa natura, a condizione che tra il primo e il successivo contratto sia trascorso un intervallo di tempo perché viola la direttiva 1999/70/Ce, favorendo il ricorso abusivo ad assunzioni a termine (Corte Giustizia UE C-212/2004). La pronuncia ha l'effetto di vanificare la normativa italiana sancita dall'articolo 5 del dlgs n. 368/2001 sulla riassunzione a termine, con la conseguenza che in queste ipotesi (ossia il caso di due o più contratti a termine successivi, con uno stesso datore di lavoro, per la stessa attività) trova applicazione la conversione del rapporto a tempo indeterminato. La sentenza verte sulla direttiva contenente l'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato sottoscritto il 18 marzo 1999. Anche se relativa alla legislazione di un altro stato (la Grecia), la pronuncia offre un'interpretazione della disciplina comunitaria che in Italia è stata recepita dal dlgs n. 368/2001 in vigore dal 24 ottobre 2001. Sostanzialmente, la Corte Ue ha fatto proprie le conclusioni dell'avvocato generale. Una prima questione riguarda l'interpretazione della nozione di ragioni obiettive, presupposto essenziale per l'instaurazione di un contratto a termine. La normativa italiana ha individuato ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e sostitutivo. La Corte Ue, evidenziata l'assenza di una precisa definizione nell'ac-cordo quadro, spiega che la nozione va determinata considerando lo scopo perseguito dall'accordo medesimo. A tal fine, in particolare, deve considerarsi prima di tutto che, nelle premesse, l'accordo stabilisce che il contratto a tempo indeterminato rappresenta la forma comune del rapporto di lavoro, per cui ne deriva che il beneficio della stabilità dell'impiego è da intendersi un elemento portante a tutela dei lavoratori. In tale ottica l'accordo intende delimitare il ripetuto ricorso a rapporti a termine, il cui abuso è considerato po-tenzialmente a danno dei lavoratori, per evitare una situazione di precarizzazione. Inoltre, l'accordo stabilisce disposizioni volte a prevenire gli abusi derivanti dall'utilizzo della successione di contratti a termine, obbligando gli stati membri a introdurre una o più misure di garanzia e, tra queste, quella delle ragioni obiettive. Da queste premesse, secondo la Corte la nozione di ragioni obiettive deve essere intesa nel senso che si riferisce a circostanze precise e concrete caratte-rizzanti una determinata attività'. L'art. 5 del dlgs n. 368/01, al comma 3 stabilisce che quando il lavo-ratore venga riassunto a termine, entro un periodo di 10 giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a 6 mesi, ovvero 20 giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore ai 6 mesi, il secondo contratto si considera a tempo indeterminato. Di fatto, consente di riassumere a termine uno stesso lavoratore a condizione che sia trascorso un intervallo minimo di tempo (10/20 giorni); in mancanza, è prevista la sanzione della conversione del rapporto a tempo indeterminato. Ebbene, la sentenza della Corte europea ritiene che una disposizione nazionale (come quella italiana) che consideri successivi i soli contratti di lavoro a termine separati da un lasso temporale inferiore o pari a 20 giorni lavorativi deve essere considerata compromettente la finalità, nonché l'effettività dell'accordo quadro. Perché rischia di avere non solo l'effetto di escludere di fatto un gran numero di rapporti a termine dal beneficio della tutela perseguito dalla direttiva (cioè stabilità d'impiego), ma altresì quello di permettere l'utilizzazione abusiva di tali rapporti da parte dei datori di lavoro.