Il Ministero dell’interno, con la circolare 27/08/2015 n.4621, facendo seguito al parere espresso dal Consiglio di Stato del 15 luglio u.s. n. 1048/2015, ha precisato che il cittadino extracomunitario titolare di un permesso di soggiorno per motivi religiosi non può richiedere la conversione in motivi di lavoro, sia subordinato che autonomo, poiché se lo straniero non intende svolgere più la professione religiosa, viene a mancare l’unico presupposto che legittima la sua permanenza sul territorio nazionale. 

L’intervento ministeriale si è reso necessario a seguito di una giurisprudenza amministrativa non sempre univoca circa la facoltà di conversione del citato permesso.

Le sentenze del TAR che sino ad oggi hanno sostenuto la conversione, si basano sul fatto che il legislatore sia nel DLgs 286/1998 che nel Regolamento attuativo (DPR 394/1999), non nega la possibilità che il permesso di soggiorno per motivi religiosi possa essere convertito in motivi di lavoro. In particolare, secondo questa giurisprudenza, l’art. 14 del DPR 394/1999, intervenendo sulla conversione dei permessi di soggiorno, fa riferimento solo a quelli per lavoro autonomo, subordinato e per motivi familiari, lasciando intendere che l’elenco non è tassativo.

Di diverso avviso il parere del Consiglio di Stato del 15 luglio 2015 secondo cui l’unica ragione per la quale un cittadino straniero ottiene il permesso di soggiorno per motivi religiosi è quella di svolgere nel territorio nazionale l’attività strettamente legata al proprio ministero religioso e che se tali presupposti vengono meno (nel senso che il titolare del permesso di soggiorno decide di non professare più la religione, ma di svolgere una generica attività lavorativa) viene a mancare l’unico presupposto che ha legittimato la regolare entrata in Italia e la permanenza sul territorio nazionale. 

Ciò trova conforto nel fatto che il rilascio del permesso di soggiorno per motivi religiosi, ai sensi dell’art. 5, c.2 del T.U. immigrazione, segue un iter particolare ed agevolato ed il suo rinnovo è previsto solo se il beneficiario si dedica ad attività religiose e di culto. Per tale specifico motivo, detti permessi non soggiacciono ai flussi d’ingresso fissati per i permessi di lavoro, con la conseguenza che se venissero convertiti, influirebbero sulla par condicio a carico dei richiedenti non privilegiati.