Permesso per motivi umanitari escluso per mere e generiche condizioni di difficoltà
A cura della redazione

Il Ministero dell’interno, con la circolare 4/07/2018 prot. n. 8819, ha fornito alcune indicazioni alle Prefetture in merito alla trattazione delle richieste di permesso di soggiorno per motivi umanitari, sottolineando che questi non possono essere concessi sulla base di mere e generiche condizioni di difficoltà.
Il permesso di soggiorno per motivi umanitari, ai sensi dell’art. 5, c. 6 del T.U. immigrazione, viene concesso quando ricorrono seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano.
La mancata indicazione precisa dei motivi che legittimano il rilascio di tale permesso, ha autorizzato le Commissioni, incaricate di valutare il riconoscimento della protezione internazionale, a concederlo per una vasta gamma di situazioni collegate, a titolo esemplificativo, allo stato di salute, alla maternità, alla minore età, al tragico vissuto personale, alle traversie affrontate nel viaggio verso l’Italia, alla permanenza prolungata in Libia.
Si è così arrivati a snaturare il permesso di soggiorno per motivi umanitari, fino a considerarlo uno strumento premiale dell’integrazione.
Questo modo di operare delle Commissioni ha incrementato notevolmente il numero dei permessi di soggiorno per motivi umanitari, la cui durata inizialmente è di due anni, ma di fatto generalmente vengono rinnovati in assenza di controindicazioni soggettive, in via automatica e senza il pur previsto riesame dei presupposti da parte delle Commissioni.
Per ridurre la concessione di tali permessi, il Ministero dell’interno ha invitato i Collegi incaricati del riconoscimento del diritto di asilo ad effettuare un rigoroso esame delle circostanze degli di tutela.
A tal fine ha richiamato la più recente giurisprudenza (Cass. 4455/2018) secondo cui i seri motivi previsti dalla normativa a base del permesso di soggiorno per motivi umanitari sono tipizzati dalla ratio di tutelare situazioni di vulnerabilità, calate in concreto, nella complessiva condizione del richiedente, emergente sia da indici soggettivi che oggettivi, laddove questi ultimi sono riferibili alle condizioni di partenza di privazione o violazione dei diritti umani nel Paese di origine, ritendo, in tal modo, che nessuna singola circostanza possa di per sé, in via esclusiva, costituire il presupposto per l’attribuzione del beneficio.
Invero l’accreditamento della situazione oggettiva del Paese di origine e della condizione soggettiva del richiedente in quel contesto, alla luce della peculiarità della sua vicenda personale, costituiscono il punto di partenza ineludibile dell’accertamento da compiere.
In conclusione, secondo la circolare, sono questi i parametri ai quali va necessariamente ancorata ogni valutazione, così come per il riconoscimento della protezione internazionale, non potendo la stessa essere limitata ad una mera constatazione di criticità benchè evidenti e circostanziate.
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