La direzione regionale lombarda dell’Agenzia delle entrate, con la risposta all’interpello 954-1417/2016, ha affermato che ai fini della piena deducibilità dal reddito d’impresa (ex art. 95 TUIR) dei costi per i servizi welfare concessi ai dipendenti (anziché la deducibilità nei limiti del 5 per mille di cui all’art. 100 TUIR), occorre che la concessione avvenga in base ad un regolamento aziendale le cui statuizioni contengano un’obbligazione negoziale a carico del datore di lavoro (ferma restando la possibilità di definire il piano welfare con contratto o accordo).

Il regolamento aziendale, tuttavia, è un atto unilaterale del datore di lavoro non derivante da una negoziazione sindacale. L'Agenzia delle entrate, con la circolare n. 28/2016, aveva già sottolineato che, ai fini predetti, il regolamento deve configurare l’adempimento di un obbligo negoziale, senza però specificare in che senso deve interpretarsi tale assunto. Infatti, vi è un apparente contrasto tra la natura volontaria del regolamento e la possibilità che lo stesso configuri l’adempimento di un obbligo negoziale.

Tale contrasto sembra trovare una soluzione nella risposta all’interpello predetto, con cui la direzione lombarda ha precisato che deve essere considerato valido, ai fini della piena deducibilità, un regolamento aziendale che non consente, per un determinato periodo di tempo, al datore di lavoro, di modificare gli impegni assunti nei confronti dei dipendenti in materia di welfare. Infatti, in tale ipotesi, il lavoratore che aderisce al piano diventa titolare di un diritto soggettivo, al quale è correlato l’obbligo del datore che non può essere revocato volontariamente da quest’ultimo. Sulla base di tali motivazioni, è stato ritenuto non idoneo ai fini della piena deducibilità, il regolamento che stabilisce la facoltà del datore di lavoro di cessare unilateralmente e discrezionalmente l’implementazione e l’efficacia del piano welfare al termine di ciascun anno, senza che da questo derivi alcun successivo obbligo nei confronti dei collaboratori, né sorgano diritti di qualsiasi natura in capo a questi ultimi.

L’interpello in esame sembrerebbe confermare, seppure non esplicitamente, che i piani welfare possono essere indirizzati anche agli amministratori che percepiscono redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente. Sul punto, tuttavia, si ritiene necessario un chiarimento da parte della sede centrale dell’Agenzia, in quanto l’articolo 51 TUIR richiede che i piani siano rivolti alla “generalità dei dipendenti” o a “categorie di dipendenti”, ma gli amministratori che percepiscono redditi assimilati non rientrano in tali definizioni, non essendo lavoratori dipendenti.

Si chiarisce, inoltre, che non viene meno il requisito della destinazione del piano alla “generalità” o a “categoria di dipendenti” nemmeno nell’ipotesi in cui il credito welfare è riconosciuto sia ai dipendenti che agli amministratori, ma sulla base di presupposti diversi: l’ammontare della RAL per i primi e la partecipazione al CdA per i secondi. Da ultimo, si rileva che la direzione lombarda ha confermato che gli abbonamenti a palestre e i viaggi all’estero rientrano nella finalità ricreativa di cui all’art. 100 TUIR e possono quindi essere ricompresi nel piano welfare.