Amianto: la responsabilità è del datore di lavoro se la causa della morte del lavoratore non è certa
A cura della redazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza 2/08/2017 n.19270, ha deciso che se non vi è certezza scientifica della causa determinante l’insorgere della malattia che ha portato al decesso del dipendente, ma quest’ultimo ha svolto la propria attività per lungo tempo a contatto con l’amianto senza adeguate dotazioni di sicurezza, la responsabilità deve essere attribuita in ogni caso al datore di lavoro.
Nel caso esaminato dalla Suprema Corte gli eredi di un lavoratore deceduto dopo aver contratto un tumore, avevano proposto ricorso al Tribunale del lavoro per chiedere che venisse accertata la natura professionale della malattia che aveva determinato il decesso del congiunto ed il conseguente risarcimento del danno sofferto.
Il giudice del lavoro aveva accolto il ricorso e condannato i datori di lavoro presso le quali il dipendente aveva prestato l’attività lavorativa a risarcire il danno nei confronti degli eredi ricorrenti nella misura pari al 30% a carico di una e del 70% a carico dell’altra società.
Anche la Corte d’appello si era allineata al giudice di primo grado affermando che era accertato, sulla base dei dati raccolti dall’ASL competente, l’uso diffuso e costante nel periodo lavorato alle dipendenze delle due società dei materiali contenenti amianto.
Inoltre era stato evidenziato che l’inalazione di fibre di amianto e l’esposizione ad idrocarburi policiclici aromatici aveva sicuramente contribuito al precoce sviluppo della neoplasia che aveva causato il decesso del lavoratore, pur essendosi valutato che il dipendente aveva l’abitudine di fumare le sigarette.
Le società coinvolte in giudizio hanno così proposto ricorso in Cassazione, la quale ha condiviso il giudizio di merito ribadendo il principio di diritto (sent. 11/01/2008 n. 576) secondo cui ove le leggi scientifiche non consentano un’assoluta certezza della derivazione causale la regola di giudizio nel processo civile è quella della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non”. Criterio quest’ultimo che non può essere ancorato esclusivamente alla determinazione quantitativa e statistica delle frequenze di classi di eventi (c.d. probabilità quantitativa o pascaliana), che potrebbe anche mancare o essere inconferente ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma e nel contempo di esclusione di altri possibili alternativi, disponibili in relazione al caso concreto (c.d. probabilità logica o baconiana).
A nulla rileva il fatto che la pericolosità dell’amianto sia stata accertata solo negli anni novanta, dato che comunque prima era noto il rischio derivante dalla formazione e diffusione delle polveri, come evincibile dalle previsioni contenute nell’articolo 15 del DPR 303/1956 e che il rischio specifico derivante dall’amianto risultava già legislativamente recepito dal DPR 1124/1965.
Tale statuizione è congruamente motivata e conforme alla costante giurisprudenza della Corte di Cassazione (sent. 18503/2016) che in fattispecie analoghe ha individuato negli stessi sensi il contenuto degli obblighi e delle responsabilità datoriali.
Infine, sottolineano i giudici di legittimità, il giudizio di prevedibilità ed evitabilità va riferito non allo specifico tipo di neoplasia in concreto manifestatosi, il che rapporterebbe la colpa ad un criterio scientifico che è proprio del diverso giudizio di causalità, ma al generico verificarsi di un danno alla salute del lavoratore, essendo questo l’evento che l’art. 2087 c.c. e il DPR 303/1956 mirano a prevenire.
Riproduzione riservata ©