Cassazione, reddito da considerare per l'indennità di maternità
A cura della redazione
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22023 del 28 ottobre 2010, si è pronunciata in ordine alla quantificazione dell'indennità di maternità spettante ad una avvocatessa, precisando il reddito professionale da considerare e gli eventuali limiti alla prestazione.
La vicenda riguarda la liquidazione dell'indennità di maternità in favore di una lavoratrice autonoma, nella specie un'avvocatessa.
La Cassa aveva infatti corrisposto alla stessa, a titolo di indennità di maternità per astensione obbligatoria, un'indennità in misura limitata, ritenendo la cassa - nell'applicare l'aliquota dell'80% - non di far riferimento ai 5/12 dell'intero reddito annuale della professionista, ma solo a quella parte di reddito sottoposta a contribuzione minima ai fini della pensione.
La professionista ha quindi agito giudizialmente per il riconoscimento delle sue pretese, ed il giudice di primo grado le ha dato ragione; la Corte d'appello, tuttavia, ha ridotto la condanna della cassa ad una somma equitativamente determinata.
Con la sentenza in epigrafe, la Suprema Corte di Cassazione, esclusa la possibilità di una determinazione equitativa delle somme in materia regolata in tutto dalla legge, e cassata la sentenza impugnata, conferma la decisione di primo grado, ritenendo inoltre di escludere l'applicabilità di limiti massimi ai fini della prestazione, nel regime precedente all'entrata in vigore della legge n. 289 del 2003.
La decisione è conforme ad altre precedenti dello stesso giudice di legittimità.
Tra le altre, già Cass., Sez. L, Sentenza n. 26568 del 17 dicembre 2007 aveva ritenuto che, in tema di indennità di maternità spettante ad una avvocatessa nel regime di cui all'art. 70 del d.lgs. n. 151 del 2001 (precedente alle modificazioni introdotte, con disposizioni innovative e non retroattive, dalla legge n. 289 del 2003), occorre fare riferimento all'intero reddito professionale percepito e denunciato ai fini fiscali, non trovando applicazione il massimale previsto dalle successive norme quale tetto di reddito professionale pensionabile, il quale rileva solo ai fini del calcolo della pensione a carico della cassa di previdenza categoriale. Conforme, Cass., Sez. L, Sentenza n. 3515 del 13 febbraio 2008. In tema, altresì, Cass., Sez. L, Sentenza n. 12260 del 10 giugno 2005, secondo cui, ai fini dell'indennità di maternità spettante alle libere professioniste, a norma dell'art. 1, secondo comma, della legge n. 379 del 1990, recepito, senza modifiche, dall'art. 70, secondo comma, del d.lgs. n. 151 del 2001, va preso in esame soltanto il reddito professionale denunciato ai fini fiscali da farmaciste titolari di farmacia come reddito da lavoro autonomo percepito nel secondo anno precedente a quello della domanda. (Principio applicato dalla S.C. con riferimento a fattispecie anteriore alla legge n. 289 del 2003).
Con riferimento all'attività professionale associata, secondo Cass., sez. L, Sentenza n. 11935 del 13 maggio 2008, il criterio di determinazione dell'indennità di maternità spettante alle libere professioniste, che, a norma dell'art. 1, secondo comma, della legge n. 379 del 1990, è basato sul riferimento al reddito percepito e denunciato ai fini fiscali dalla libera professionista nel secondo anno precedente a quello della domanda, trova applicazione, anche dopo l'entrata in vigore della legge n. 289 del 2003, a prescindere dalla forma in cui in concreto sia esercitata l'attività professionale e anche quando il reddito conseguito abbia natura mista, professionale e di impresa, come si verifica per la farmacista titolare di farmacia.
Né è giustificatamente prospettabile, al riguardo, la violazione del principio costituzionale di uguaglianza, attesa la "ratio legis" di consentire alla professionista di dedicarsi con serenità alla maternità, prevenendo che a questa si colleghi uno stato di bisogno o una diminuzione del tenore di vita (v. Corte Cost. n. 3 del 1998); analogamente, è manifestamente infondata l'eccezione di illegittimità costituzionale, per violazione dell'art. 38 Cost., a causa dello squilibrio che potrebbe verificarsi tra erogazioni previdenziali e contributi, ove siano ammissibili indennità di ammontare particolarmente elevato, posto che l'art. 5 della legge n. 379 del 1990 consente l'eventuale aumento, con decreto del contributo annuale in misura fissa ivi previsto, al fine di assicurare l'equilibrio delle gestioni ed infine che gli enti previdenziali dei liberi professionisti possono deliberare la ridefinizione dei contributi ai fini del trattamento di maternità.