La Corte di Cassazione, con la sentenza 4/07/2017 n.16375, ha deciso che le somme versate dall’azienda ai fondi di previdenza complementare, pur avendo natura retributiva, non sono utili al calcolo del TFR.

Nel caso sottoposto all’esame dei giudici di legittimità, alcuni lavoratori rivendicavano la corresponsione delle differenze richieste sul trattamento di fine rapporto in quanto sostenevano che il datore di lavoro, nel calcolare il TFR alla cessazione del rapporto di lavoro, non avesse tenuto conto anche delle somme versate alla previdenza complementare.

Nei primi due gradi di giudizio l’azienda è risultata soccombente, poiché i giudici di merito hanno ritenuto che il riconoscimento della natura retributiva dei trattamenti pensionistici integrativi aziendali comporta che analoga natura deve essere attribuita ai versamenti effettuati dal datore di lavoro, in osservanza di un obbligo derivante dal contratto collettivo, mediante accreditamento sul conto previdenziale individuale del lavoratore ai fini della costituzione e dell’erogazione di siffatti trattamenti.

Di diverso avviso invece la Suprema Corte, che ha richiamato la sentenza delle S.U. n. 974/1997 con la quale era stato precisato che può parlarsi di natura retributiva del credito ad una prestazione con funzione previdenziale o assistenziale quando la si fa discendere da una nozione di retribuzione che superi l’ambito della corrispettività in senso stretto tra prestazione di lavoro e compenso, in favore della corrispettività intesa in senso ampio, siccome rivolta a soddisfare determinate esigenze di vita del lavoratore, dato che nell’adempimento dell’obbligazione lavorativa è intimamente implicata la persona stessa del lavoratore.

Sempre le S.U. della Corte di Cassazione hanno delineato il principio secondo cui il diritto alla stregua del quale i trattamenti pensionistici integrativi aziendali hanno natura giuridica di retribuzione differita, ma in relazione alla loro funzione previdenziale sono ascrivibili alla categoria delle erogazioni solo in senso lato in relazione di corrispettività con la prestazione lavorativa.

Ne consegue che non trova applicazione il criterio di inderogabile proporzionalità alla quantità e qualità del lavoro e, più in generale, della garanzia dell’art. 36 Cost, in relazione all’art. 2099 c.c.

Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dai giudici di merito, la natura retributiva di un emolumento non ha valenza unitaria né uniformità di effetti e disciplina e la funzione previdenziale può giustificare una diversa regolamentazione.

In particolare, in questi casi, trova applicazione l’art. 38 Cost, in luogo dell’art. 36 Cost, e la non computabilità nel TFR delle somme versate alla previdenza complementare.