Conversione contratto a termine e limitazioni al risarcimento del danno
A cura della redazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6663/2011, ha deciso che il risarcimento del danno spettante al lavoratore in caso di conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato, previsto dall’art. 32, commi 5, 6 e 7 della L. 183/2010 (collegato lavoro), non trova applicazione nei giudizi di legittimità in corso se, nei motivi dell’impugnazione, non è stato fatto espresso riferimento agli effetti economici della nullità del termine apposto al contratto di lavoro.
Come si ricorderà la legge 183/2010 stabilisce che, nei casi in cui vi sia giudizialmente la conversione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato, il giudice condanna il datore di lavoro a corrispondere al lavoratore, a titolo di risarcimento, un’indennità onnicomprensiva, nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, e determinata tenendo conto dei criteri individuati dall’art. 8 della L. 604/1966 (numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell’impresa, all’anzianità di servizio del prestatore di lavoro, comportamento e condizioni delle parti).
Secondo la Suprema Corte il nuovo tetto all’indennità sostitutiva si applica ai giudizi pendenti solo quando, nel ricorso introduttivo del giudizio di legittimità, la parte ha specificamente impugnato anche le conseguenze economiche della sentenza di conversione del contratto. In questo modo sono esclusi dalla nuova disciplina tutti quei ricorsi presentati quando ancora non era approvato il collegato lavoro, se questi non contestavano la quantificazione economica della sentenza di merito.
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