Qualora il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile manchi del tutto non può essere riconosciuto il diritto ai permessi retribuiti perché si è in presenza di un uso improprio cioè di un abuso del diritto, mentre, al contrario, la funzione di assistenza al disabile non viene meno quando nell'ambito dell'intera giornata il dipendente riservi alle proprie esigenze personali un limitato lasso di tempo per fare un’attività sportiva, utile per il recupero delle energie spese durante l’assistenza.Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza 14763/2025 di fronte a comportamenti del lavoratore volti a dedicarsi in  limitati lassi di tempo allo svolgimento di un'attività sportivo-terapeutica, basata su brevi corse.Ricordiamo che i permessi ex art. 33, comma 3, L. n. 104/1992, da un lato, sono delineati quali permessi giornalieri (tre al mese), e non su base oraria o cronometrica, e, dall'altro, possono essere fruiti "a condizione che la persona handicappata non sia ricoverata a tempo pieno", ma per assistere, in forme non specificate, in particolare in termini infermieristici o di accompagnamento, una "persona con handicap in situazione di gravità".Relegare ad un tempo marginale l’assistenza alla persona disabile è snaturare la funzione dei permessi, abusare della buona fede del datore di lavoro che consente all’assenza dal lavoro dei lavoratori interessati e mettere a carico della collettività il costo dei permessi per finalità individuali e non di assistenza ai più deboli e fragili.Nel caso specifico invece, per la Cassazione, in presenza di una condotta in cui solo marginalmente il dipendente si occupi della propria condizione di salute senza però fare venire meno il nesso causale tra la fruizione del permesso stesso e l'assistenza alla persona disabile, resta intatta la funzione dei permessi fruiti legittimamente. E perciò illegittimo il licenziamento disciplinare intimato al lavoratore.