La Corte di Cassazione, con la sentenza del 14 luglio 2005, n. 14816, ha chiarito che per la nullità del licenziamento di un lavoratore iscritto al sindacato è necessaria la prova della sussistenza di un rapporto di causalità tra tali circostanze e l'asserito intento di rappresaglia del datore di lavoro, dovendo, in mancanza, escludersi la finalità ritorsiva del licenziamento. Per affermare il carattere ritorsivo e quindi la nullità del provvedimento espulsivo, in quanto fondato su un motivo illecito, occorre specificamente dimostrare, con onere a carico del lavoratore, che l'intento discriminatorio o di rappresaglia per l'attività svolta abbia avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà del datore di lavoro anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso. Per l'accertamento dell'intento ritorsivo del licenziamento non è sufficiente la deduzione dell'appartenenza del lavoratore ad un sindacato, o della sua partecipazione, anche se attiva, ad attività sindacali, ma è necessaria la prova della sussistenza di un rapporto di causalità tra tali circostanze e l'asserito intento di rappresaglia, dovendo, in mancanza, escludersi la finalità ritorsiva del licenziamento.