Inefficacia o nullità per il licenziamento durante la malattia?
A cura della redazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza 19/10/2017 n.24766, ha rimesso al Primo Presidente delle Sezioni Unite, la decisione definitiva in merito al contrasto giurisprudenziale che vede contrapporsi da un lato un orientamento secondo cui è inefficace il licenziamento fondato sul superamento del periodo di comporto, prima della scadenza del relativo termine, intimato in costanza di malattia del lavoratore e dall’altro quello che invece sostiene che sia nullo.
Nel caso sottoposto al giudizio della Suprema Corte, un lavoratore aveva impugnato il licenziamento per superamento del periodo di comporto, perché ritenuto illegittimo in quanto intimato durante lo stato di malattia. Più precisamente il dipendente riteneva che i 730 giorni di comporto da calcolarsi su un arco temporale di 4 anni, dovevano farsi decorrere a ritroso dal 7 luglio 2004 (data dalla quale aveva effetto il recesso datoriale) e non dal 27 luglio dello stesso anno, come preteso dall’azienda sulla base del certificato medico di malattia datato 28 giugno 2004, con prognosi di 30 giorni, prodotto dal lavoratore.
In sostanza, il computo a ritroso del quadriennio dal giorno 7 luglio 2004, escludeva il maturarsi dei 730 giorni di comporto previsto dal contratto collettivo.
I giudici di merito hanno respinto la domanda del lavoratore conformandosi alla regola secondo cui il licenziamento intimato prima della scadenza del periodo di comporto non è nullo e neppure ingiustificato, ma temporaneamente inefficace fino al venir meno della situazione ostativa.
Pertanto il licenziamento intimato dal datore di lavoro durante lo stato di malattia del dipendente doveva ritenersi inefficace, seppur legittimo, ma non nullo. In breve, anche se datato 7 luglio, il licenziamento doveva ritenersi sospeso fino al 27 luglio, data ultima della malattia.
La questione è così giunta davanti ai giudici della Corte di Cassazione i quali hanno rilevato la presenza di due orientamenti contrapposti consolidatisi nel tempo.
Da un lato, quello che ritiene valido il licenziamento per giustificato motivo intimato nel periodo di malattia, risultando solo la relativa efficacia sospesa fino al venir meno della situazione ostativa (Cass. 23063/2013, 7098/1990, 4394/1998) e che trova fondamento giuridico nel principio di conservazione degli atti giuridici di cui all’art. 1367 c.c. applicabile anche al recesso datoriale in virtù del rinvio operato agli atti unilaterali dall’art. 1324 c.c.
A questo si contrappone l’altro orientamento (Cass. 24525/2014, 12031/1999 e 9869/1991) che invece afferma la nullità e non l’inefficacia del recesso datoriale durante la malattia, basandosi sul fatto che risulta acquisito che il superamento del periodo di comporto costituisce fatto che di per sé solo conferisce al datore di lavoro il diritto di recedere dal contratto, senza che siano necessarie la sussistenza e l’allegazione di elementi integranti un giustificato motivo. Inoltre, secondo la disciplina dettata dalla L. 604/1966 è il fatto integrante il giustificato motivo che, a sua volta, di per sé, attribuisce il diritto di recesso.
I giudici di legittimità hanno così ritenuto che sussistano le condizioni per rimettere gli atti al Primo Presidente affinché valuti l’opportunità di assegnare la trattazione del ricorso alle Sezioni Unite.
Riproduzione riservata ©