La rinuncia al compenso del socio amministratore è soggetta a tassazione
A cura della redazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 26/01/2016 n.1335, ha deciso che la rinuncia al credito (nel caso in esame l’indennità di fine mandato) da parte del socio amministratore, obbliga la società che lo ha erogato, nella sua qualità di sostituto di imposta, ad assoggettare tale indennità al relativo regime fiscale in capo al socio creditore.
Infatti se tale credito non venisse tassato, si consentirebbe alla società di beneficiare di accantonamenti fiscalmente dedotti nel corso dei singoli periodi di imposta che non scontano alcuna imposizione fiscale, sebbene producano l’effetto ultimo di incrementare il costo della partecipazione e, quindi, di generare reddito, che finirebbe per rimanere esente da imposizione.
La Suprema Corte ha così condiviso la tesi dell’Agenzia delle entrate, consolidando il precedente orientamento di legittimità. La Corte di Cassazione ha infatti richiamato la precedente sentenza n. 26842/2014 riguardante la rinuncia ad un credito derivante da compensi per royalties spettanti al socio di maggioranza ad avviso della quale, in tema di determinazione del reddito d’impresa, l’art. 88, c.4 del TUIR, non consente di alterare il regime fiscale del credito che costituisce oggetto di rinuncia.
Più precisamente, la citata disposizione che non considera sopravvenienze attive i versamenti in denaro o in natura fatti a fondo perduto o in conto capitale alle società, deve essere letta in combinato disposto con gli articoli 94, comma 6, e 101, comma 7 del TUIR.
Il primo articolo dispone che l’ammontare dei versamenti fatti a fondo perduto o in conto capitale alla società dai propri soci o della rinuncia ai crediti nei confronti della società dagli stessi soci nei limiti del valore fiscale del credito oggetto di rinuncia, si aggiunge al costo dei titoli e delle quote in proporzione alla quantità delle singole voci della corrispondente categoria.
Il secondo, invece, prevede l’indeducibilità dei versamenti in denaro o in natura fatti a fondo perduto o in conto capitale alle società dai propri soci e la rinuncia degli stessi soci ai crediti.
Pertanto, considerato che l’indennità che ha formato oggetto d’esame della Suprema Corte viene corrisposta ai soci-amministratori alla scadenza del mandato, così come previsto nell’atto costitutivo della società o in una specifica delibera assembleare, e che, in relazione a essa, la società deduce per ogni esercizio la quota di ammortamento di competenza, alla cessazione del mandato la società erogatrice deve applicare all’indennità corrisposta la ritenuta a titolo di acconto del 20%, con conseguente assoggettamento a tassazione separata ai fini Irpef in capo ai percipienti la somma.
In altri termini, per i giudici di legittimità, la rinuncia al credito da parte di un socio è espressione della volontà di patrimonializzare la società e, pertanto, non può essere equiparata alla remissione di un debito da parte di un soggetto estraneo alla compagine sociale. Quindi, tale rinuncia presuppone il conseguimento del credito, il cui importo, anche se non materialmente incassato, viene comunque “utilizzato”, sia pure con atto di disposizione avente natura di rinuncia (circolare A.E. n. 73/1994, paragrafo 3.20).
Ne deriva che, in caso di compensi di lavoro autonomo spettanti al socio, la rinuncia operata dal socio medesimo presuppone logicamente la maturazione e il conseguimento del credito vantato, con inevitabile assoggettamento al conseguente regime fiscale, in capo al socio creditore; in caso contrario, si ammetterebbe la deduzione fiscale degli accantonamenti (ex articolo 105 del Tuir), nel corso dei singoli periodi di imposta, senza assoggettarli a tassazione, nonostante determinino l’incremento del costo della partecipazione e la generazione di un reddito.
In conclusione, la Cassazione afferma che, mentre qualsiasi rinuncia dei soci ai crediti vantati nei confronti della società partecipata, quale che sia la natura dei crediti medesimi e la fonte che li ha generati, non costituisce sopravvenienza attiva per la società stessa, la rinuncia dei soci-amministratori alle indennità di che trattasi, invece, è soggetta a ritenuta di acconto, da parte della società erogatrice, e genera comunque reddito in capo al socio beneficiario.
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