La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16776 del 17 luglio 2009 ha precisato che, nella procedura di mobilità ex L. n. 223/1991, l'eventuale azione sindacale è del tutto distinta ed autonoma rispetto a quella esercitabile individualmente dai lavoratori a tutela dei propri diritti.
La Suprema Corte ha, dapprima, messo in evidenza che la normativa in tema di comunicazioni di apertura della procedura di mobilità assolve ad una duplice funzione: essa è diretta, da un lato, a porre le organizzazioni sindacali in grado di verificare l'esistenza delle condizioni che legittimano la procedura di mobilità e, dall'altro, ad assicurare la tutela degli interessi dei singoli lavoratori in relazione alla situazione di eccedenza che legittima la dichiarazione di mobilità.
L'azione esercitabile dai sindacati ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 28 (Statuto dei Lavoratori), ha proseguito la Corte, è, pertanto, distinta ed autonoma rispetto alle azioni che possono esercitare i lavoratori a tutela dei propri diritti individuali eventualmente colpiti dagli stessi comportamenti antisindacali denunciati dal sindacato stesso.
Da tale diversità deriva che il decreto di rigetto dell'azione proposta dal sindacato non può avere alcuna efficacia di giudicato esterno nella diversa azione proposta dal lavoratore, a tutela di un proprio diritto soggettivo. L'azione collettiva del sindacato e l'azione individuale del lavoratore, stante la diversità degli interessi tutelati, si pongono, invero, su un piano, sostanziale e processuale, di reciproca indifferenza, con la conseguenza che l'esperimento e l'esito di una di esse non può incidere sulle vicende e sulla sorte dell'altra.