La Direttiva UE 2024/1203 introduce un catalogo ampliato di reati ambientali e sanzioni fino al 5% del fatturato globale. In Italia il recepimento si intreccia con il D.Lgs. 231/2001 e il Testo Unico Sicurezza, imponendo alle imprese modelli organizzativi integrati, due diligence di filiera e formazione efficace per ridurre il rischio di sanzioni milionarie e interdittive.

Cosa tratta :

L’Europa alza il livello di guardia sulla tutela penale dell’ambiente. Con la Direttiva (UE) 2024/1203, entrata in vigore il 20 maggio 2024, gli Stati membri dovranno entro il 21 maggio 2026 introdurre un catalogo più ampio di reati ambientali e pene più severe. Non si tratta di un semplice aggiornamento normativo: per le aziende italiane è un cambio di paradigma che intreccia compliance ambientale, salute e sicurezza sul lavoro e responsabilità amministrativa degli enti.

Cosa prevede la direttiva

La nuova norma sostituisce le precedenti direttive 2008/99/CE e 2009/123/CE e introduce fattispecie penali più incisive: inquinamento grave, spedizioni illecite di rifiuti, traffico di sostanze chimiche pericolose, commercio illegale di legname, violazioni su mercurio, progetti senza VIA con danni significativi, fino ai “reati qualificati” come distruzione dell’ambiente o danni irreversibili. Per le persone fisiche le pene arrivano fino a 8 anni (10 in caso di morte), mentre per le imprese si parla di sanzioni fino al 5% del fatturato globale o 40 milioni di euro, oltre a misure interdittive e obblighi di ripristino.

Perché riguarda subito le aziende

In Italia il recepimento è in corso, ma il terreno è già stato preparato: la Legge 147/2025 ha ampliato il catalogo dei reati presupposto del D.Lgs. 231/2001 in materia ambientale, anticipando la direttiva UE. Questo significa che errori minimi nella gestione dei rifiuti, nei controlli su appaltatori o nella tracciabilità possono trasformarsi in responsabilità penale per l’ente.

Incroci con sicurezza sul lavoro e due diligence

Non è solo una questione ambientale. Il Testo Unico Sicurezza (D.Lgs. 81/2008) e l’Accordo Stato-Regioni 2025 sulla formazione impongono valutazioni integrate dei rischi: rifiuti, emissioni, sostanze chimiche e ambienti confinati incidono sul DVR e sulla formazione. Una carenza di addestramento pratico può diventare indice di colpa organizzativa nei procedimenti 231.In parallelo, la Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD) obbliga le imprese a mappare e gestire i rischi lungo la supply chain. Violazioni organizzative possono sfociare in reati ambientali, innescando il doppio binario penale-amministrativo.

Il nuovo scenario di rischio

Le criticità emergenti sono chiare:

  • Supply chain e appalti: audit e clausole ESG diventano obblighi sostanziali.
  • Autorizzazioni e VIA: lacune autorizzative espongono a reati qualificati.
  • Tracciabilità: servono sistemi robusti di registrazione e whistleblowing.
  • Formazione: moduli pratici e verifiche di efficacia non sono più opzionali.
  • Governance legale: cresce il rischio di contenzioso multilivello (penale, 231, civile).

Cosa fare subito

  • Aggiornare il Modello 231, integrare la due diligence CSDDD, allineare DVR e formazione HSE, rafforzare controlli su autorizzazioni e spedizioni.
  • La parola chiave è integrazione: ambiente, sicurezza e governance non possono più essere gestiti a compartimenti stagni.


COSA DICE LA LEGGE

  • Direttiva (UE) 2024/1203: obbligo per gli Stati membri di punire penalmente reati ambientali gravi entro maggio 2026.
  • Sanzioni: fino al 5% del fatturato globale o 40 milioni di euro per le persone giuridiche; pene fino a 8 anni per le persone fisiche.
  • D.Lgs. 231/2001: ampliamento del catalogo reati ambientali (L. 147/2025), inclusi abbandono e combustione illecita di rifiuti.
  • D.Lgs. 81/2008: aggiornamenti 2025 su formazione e valutazione integrata dei rischi.
  • CSDDD (UE 2024/1760): obblighi di due diligence ambientale e diritti umani lungo la supply chain.

INDICAZIONI OPERATIVE 

  1. Aggiornare il DVR includendo rischi ambientali (rifiuti, emissioni, chimici).
  2. Integrare protocolli 231 con controlli su appaltatori e trasportatori.
  3. Verificare autorizzazioni (AUA, AIA, VIA) e tracciabilità dei rifiuti.
  4. Progettare formazione pratica su gestione rifiuti e ambienti confinati, con test di efficacia.
  5. Implementare sistemi di whistleblowing e registri verificabili.Inserire clausole ESG nei contratti di fornitura e pianificare audit periodici.
  6. Coordinare compliance ambientale e sicurezza in un unico modello organizzativo.