Quarantena covid non computabile nel comporto
A cura della redazione

Così si è espressa la Corte di cassazione con la sentenza n. 12272 del 9 maggio 2025, cassando la sentenza della Corte di appello e rinviando ad altra Corte la riformulazione della sentenza.A distanza di un certo numero di anni, la questione può tornare di attualità perchè in diversi casi l'effettuazione di periodi di malattia successivi alla fase pandemica possono determinare o meno il superamento della durata massima del comporto, in base alla valutazione di quei periodi di quarantena obbligatori all'epoca dei fatti.Nel caso specifico, il lavoratore, durante la fase pandemica si era assentato dal lavoro per effettuare periodi di quarantena e isolamento a scopo precauzionale, per il rischio di infettare altre persone sul luogo di lavoro. Il datore di lavoro sostiene di non essere stato informato della cosa, anche se, aggiungiamo, all’epoca, lo stato di quarantena anche precauzionale era attestata da un atto rilasciato dall’autorità sanitaria locale (ASL) trasmessa anche al medico curante, all’Inps e al datore di lavoro oltreché al lavoratore.Ai sensi dell’art. 26 del decreto legge 18/2020 conv. nella L. 27/2020 infatti, fino al 31 dicembre 2021, il periodo trascorso in quarantena con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva dai lavoratori dipendenti del settore privato, era equiparato a malattia ai fini del trattamento economico previsto dalla normativa di riferimento e non era computabile ai fini del periodo di comporto.La Cassazione ha così respinto la tesi del datore di lavoro secondo cui non gli era nota all’epoca dei fatti, la ragione dell’assenza basata sulla necessità di isolamento, nella certezza, non diversamente contraddetta, che il lavoratore avesse contratto una malattia, come tale computabile nel periodo di comporto.La tesi della Cassazione con la sentenza 12272/2025, si basa sul principio consolidato secondo il quale il divieto di computo delle assenze stabilito dall’art. 26 del decreto legge 18/2020 opera oggettivamente, a prescindere dalla conoscenza che il datore di lavoro abbia della causale dell'assenza.La legittimità del recesso a seguito della maturazione comporto deve essere valutata perciò in relazione al compiersi o no del relativo periodo, e non dalla percezione che di tale situazione abbia il datore di lavoro. Principio quest’ultimo confermato anche dalla recente sentenza di Cassazione 15845/2024.
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