Non costituisce estorsione il proporre al lavoratore in fase di assunzione una riduzione della retribuzione rispetto ai minimi contrattuali, prospettando, in caso contrario, la perdita dell'offerta di lavoro.

La Cassazione con la sentenza del 9 luglio 2025 n. 25359 esclude, per il datore di lavoro, il reato di estorsione pur restando intatta la violazione alle norme legali e contrattuali che garantiscono una giusta retribuzione.

Diverse sono le conclusioni quando una proposta del genere viene effettuata nella fase dello svolgimento del rapporto di lavoro, durante la quale la minaccia del licenziamento in caso di mancata accettazione del dipendente di riduzioni retributive, costituisce e integra il reato di estorsione. In questo secondo caso, infatti, si tratta di un comportamento da parte datoriale, che integra gli estremi della minaccia contro la legge, facendo ricorso al licenziamento per costringere la volontà altrui ed ottenere scopi non consentiti o risultati non dovuti, né conformi a giustizia, considerando che, proprio in conseguenza di tale condotta, il lavoratore perdeva sistematicamente il diritto alla contribuzione, anche ai fini del TFR.

Nella fase di assunzione pur in presenza di un ingiusto profitto a vantaggio del datore di lavoro non c’è un danno per il lavoratore che può decidere di rinunciare all’occasione lavorativa, mentre nella fase esecutiva del rapporto, si realizza un ingiusto profitto a danno del lavoratore che si vede minacciare la perdita del posto di lavoro con la leva scorretta del licenziamento, pur in assenza dei presupposti di legge.