Dietro l’immagine pulita dell’eolico c’è un nodo tecnico ancora da smarcare: il riciclo delle pale a fine vita. Il problema nasce dai materiali da cui queste sono composte, fibre di vetro o carbonio immerse in resine termoindurenti, che poi sono difficili da rifondere per scomporle chimicamente e ottenere nuova materia prima.

Di cosa tratta:

Quando un parco eolico arriva a fine vita, quasi tutto trova una nuova destinazione: acciaio, rame, calcestruzzo seguono filiere di recupero ormai rodate. Il problema vero sono le pale. Sono leggere e resistenti perché fatte di strati di fibra di vetro o carbonio incollati con resine termoindurenti: una volta polimerizzate, non si rifondono più.

Il problema riguarda proprio questi ultimi materiali, che compongono circa il 10 % del peso totale e, laddove possibile legalmente, finiscono spesso in discarica, mentre il rimanente 90 % (acciaio, calcestruzzo, rame, ecc.) viene recuperato attraverso processi ormai rodati. Separare questi strati e “sciogliere” la matrice senza rovinare le fibre è complicato e costoso, perché possibile solo con processi come la pirolisi o la solvolisi, che richiedono alte quantità di energia e costi elevati. Il problema dello smaltimento in discarica è rappresentato soprattutto dagli ampi volumi di spazio occupati, viste anche le dimensioni degli impianti, oltre ad essere una soluzione non coerente con gli ideali di sostenibilità. Alcuni studi, invece, sostengono che una lo stirene, sostanza presente nella resina, possa essere tossica per l’ambiente e per l’uomo.

In Europa alcuni Stati, come Austria, Finlandia, Germania e Paesi Bassi, hanno già introdotto regole che vietano l’invio in discarica di questi materiali, ma non è ancora stato istituito un divieto generale da parte dell’UE. Una delle soluzioni che si stanno maggiormente diffondendo e che si avvicina al concetto di riciclo è ridurre i materiali in pezzi e co-processarli nei cementifici: la parte organica viene utilizzata per fornire energia ai forni, mentre la parte minerale diventa materia prima per il clinker. Anche questa pratica, però, non è “circolare” in senso stretto e, in più, la combustione della resina emette CO2.

Un po' di dati:

Gli impianti vengono progettati e realizzati per rimanere attivi circa 20-25 anni e molti di questi sono stati installati tra fine anni 90’ e i primi anni 2000, motivo per cui stanno arrivando tutti insieme al capolinea. Si stima che in UE, entro il 2030, potrebbero arrivare a fine vita circa 42.500 turbine, mentre al 2050 potrebbero arrivare ad essere 86.000. Su scala globale, alcuni studi stimano fino a 43 milioni di tonnellate di rifiuti di pale cumulati al 2050.

Nel nostro Paese, secondo l’Associazione Nazionale Energia del Vento (ANEV), al momento le pale in esercizio sono circa 7.500, di cui il 27 % installate tra il 1996 e il 2004. Già nel 2025 il settore potrebbe generare 0,5 milioni di tonnellate.  

Soluzioni future:

Per le nuove pale realizzate in futuro sembra che sarà possibile progettarle in partenza per essere “smontate” in un secondo momento, ovvero utilizzando una resina che si possa rifondere. Rimane, però, il problema delle pale già in esercizio realizzate con la resina epossidica tradizionale: è stata presentata nel 2023 una soluzione chimica selettiva, all’interno dell’iniziativa CETEC, che permette di depolimerizzare le vecchie epossidiche ottenendo molecole riutilizzabili. Questo consentirebbe di rendere riciclabili anche le pale già installate, trasformando i materiali in una nuova fonte di materie prime.

Tuttavia, queste soluzioni sono ancora in fase di sviluppo e, in attesa che si diffondano, l’alternativa migliore allo smaltimento in discarica appare essere il co-processing nei cementifici.