La Corte di cassazione, con la sentenza n. 24201 del 29 agosto 2025, ha deciso che, se il patto di prova è nullo, il lavoratore illegittimamente licenziato ha diritto alla tutela reintegratoria.

La causa ha origine da un ricorso promosso da un lavoratore con il quale veniva chiesto al Tribunale del lavoro l’accertamento della nullità del patto di prova e conseguentemente la declaratoria di illegittimità del licenziamento e la reintegra nel posto di lavoro.

I giudici di primo grado hanno respinto la domanda del ricorrente, mentre la Corte d’appello ha dichiarato la nullità del patto di prova e annullato il licenziamento, condannando il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore in azienda e disponendo che con separata ordinanza andasse altresì applicata la tutela risarcitoria prevista per l’insussistenza del fatto.

Con la sentenza definitiva, poiché è stata esercitata l’opzione per l’indennità sostituiva della reintegra, i giudici di secondo grado hanno condannato il datore di lavoro a pagare l’indennità risarcitoria.

L’azienda ha proposto ricorso presso la Corte di cassazione la quale, richiamando le altre pronunce sullo stesso tema (Cass. 25/1995, 5591/2001, 21758/2010 e 17045/2005) ha ribadito che, in caso di nullità genetica del patto di prova contenuto nel contratto individuale, come la mancata stipula dello stesso per iscritto in epoca anteriore o almeno contestuale al rapporto di lavoro oppure in caso di mancata specificazione delle mansioni da espletarsi, la cessazione unilaterale del rapporto di lavoro per mancato superamento della prova è inidonea a costituire giusta causa o giustificato motivo del licenziamento.

In passato (Cass. 20239/2023) la Suprema Corte aveva ritenuto che la nullità della clausola relativa al patto di prova non si estendesse all’intero contratto di lavoro che quindi determinava l’automatica conversione dell’assunzione in definitiva fin dall’inizio ed il venir meno del regime di libera recedibilità di cui all’art. 1 della L. 604/1966,  con la conseguenza che il recesso ad nutum intimato in assenza di un valido patto di prova, equivaleva ad un ordinario licenziamento, il quale, nel regime introdotto dal Dlgs 23/2015 era assoggettato alla regola generale della tutela indennitaria non essendo riconducibile ad alcuna delle specifiche ipotesi nelle quali è prevista la reintegrazione.

Questa interpretazione però deve essere rivista oggi, alla luce dei principi statuiti dalla Corte costituzionale (sent. 128/2024) che, nel riallineamento delle tutele ivi previsto per i licenziamenti per GMO, da un lato, e per GMS o privo di giusta causa, dall’altro, consente di ritenere il recesso disposto per il mancato superamento di un patto di prova geneticamente nullo un’ipotesi di licenziamento privo di giustificazione per insussistenza del fatto con riconoscimento della tutela reintegratoria.