L’Agenzia delle Entrate, con la risposta all’interpello n. 296 del 27 aprile 2021, ha fornito chiarimenti in merito al trattamento fiscale degli emolumenti corrisposti dal datore di lavoro al dipendente che svolge la propria prestazione in telelavoro dall’estero.

Nel caso specifico, il datore di lavoro era fiscalmente residente in Italia e chiedeva come operare riguardo alle retribuzioni corrisposte ad un proprio dipendente per le prestazioni svolte in telelavoro, dal 2017, dalla sua abitazione nel Regno Unito, dove quest’ultimo aveva la residenza fiscale.

Secondo l’Agenzia, fermo restando che il sostituto in questione doveva operare le ritenute alla fonte sulle somme corrisposte al lavoratore, poteva applicare, direttamente sotto la propria responsabilità, il regime convenzionale di esenzione, previa presentazione da parte del telelavoratore di idonea documentazione che provasse l'effettivo possesso di tutti i requisiti previsti dalla Convenzione contro le doppie imposizioni fra Italia e Regno Unito.

Secondo il Fisco, per individuare l’esatto luogo dell’attività lavorativa nel telelavoro, si deve infatti fare riferimento al commentario all’articolo 15, paragrafo 1, del modello Ocse di convenzione contro le doppie imposizioni, secondo il quale rileva il luogo in cui il lavoratore dipendente è fisicamente presente quando esercita le attività per cui è remunerato. L’Agenzia sottolinea, quindi, che in tali casi il reddito del dipendente non può essere assoggettato a imposizione nell'altro Stato contraente, anche se i risultati della prestazione lavorativa sono utilizzati in detto Stato.