Accomodamento ragionevole non coincide con il repechage
A cura della redazione

Così si è pronunciata la Corte di cassazione con la sentenza 23481 del 18 agosto 2025, in merito all’applicazione dell’art. 3 comma 3 bis del D.Lgs. 216/2003.Quest’ultima norma è quella che istituisce l’obbligo di ricercare accomodamenti ragionevoli nell’ambito dell’organizzazione del datore di lavoro in presenza di una persona disabile. La mancata attuazione dell’accomodamento ragionevole che secondo il Ministero del lavoro può essere costituito anche dal lavoro agile se la mansione lo permette, va provata, secondo i giudici della Cassazione, dimostrando la sua irragionevolezza o l’eccessivo costo rispetto alle capacità economiche del datore di lavoro.Due sono le considerazioni importanti che emergono da tale pronuncia che conferma la sentenza della Corte di appello:
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per disabile quale destinatario degli accomodamenti ragionevoli, si intende non solo il lavoratore cui è stata accertata una condizione di disabilità o invalidità ma anche chi si trovi in condizioni di inidoneità fisica alla mansione a seguito di un infortunio sul lavoro;
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In secondo luogo, agli oneri di assolvimento del repêchage che tradizionalmente gravano sul datore di lavoro nell'ipotesi di un licenziamento per inidoneità fisica sopravvenuta, nel caso in cui operi l'art. 3, comma 3 bis, D.Lgs. 216 del 2003, si aggiunge quello distinto relativo all'adempimento dell'obbligo di accomodamento ragionevole, da intendersi, in entrambi i casi come condizione di legittimità del recesso.La sentenza non sembra imporre un ordine cronologico tra i due obblighi previsti entrambi per scongiurare il licenziamento per non idoneità dei lavoratori.Pertanto, una volta provata l’inesistenza di mansioni o posti di lavoro compatibili con lo stato fisico successivo allo stato invalidante, il datore di lavoro deve provare che non era fattibile realizzare accomodamenti ragionevoli, secondo le linee tracciate dalla giurisprudenza. A tale fine, il datore di lavoro può anche dimostrare che eventuali soluzioni alternative, pur possibili e pur avendo impiegato qualsiasi sforzo diligente, fossero prive di ragionevolezza, magari perché coinvolgenti altri interessi comparativamente preminenti, ovvero fossero sproporzionate o eccessive, a causa dei costi finanziari o di altro tipo ovvero in considerazione delle dimensioni e delle risorse dell'impresa.Solo così il licenziamento può essere considerato legittimo, risultando altrimenti discriminatorio ai sensi della citata norma del D.Lgs. 216/2003, con obbligo di reintegrazione piena e pagamento di tutte le retribuzioni (più i contributi) dovute dal recesso fino alla reintegra.
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