Il giudice non può modificare la sanzione disciplinare
A cura della redazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22150 del 29 ottobre 2015, ha affermato che in caso di impugnazione di un provvedimento disciplinare, il giudice non può sostituirsi al datore modificando l’entità della pena applicata, nemmeno riducendo la gravità della sanzione.
Il potere di graduare la sanzione in relazione alla gravità dell’illecito disciplinare è espressione di una discrezionalità che rientra nel più ampio potere organizzativo quale aspetto del diritto di iniziativa economica privata che l’art. 41, comma 1, Costituzione, riconosce all’imprenditore. I criteri di scelta da lui adottati nell’esercizio del potere disciplinare non sono sindacabili nel merito dal giudice, che deve limitarsi a verificare – oltre all’esistenza in punto di fatto dell’addebito – il rispetto delle disposizioni legislative e contrattuali in materia e, in particolare, del principio inderogabile di cui all’art. 2106 c.c., secondo cui le sanzioni disciplinari devono essere proporzionate alla gravità dell’infrazione. La loro violazione comporta l’illegittimità della sanzione disciplinare, senza che al giudice sia dato il potere di sostituirsi all’imprenditore nell’applicare altra meno grave sanzione ritenuta proporzionata all’infrazione accertata, fatto salvo il caso in cui l’imprenditore abbia superato il massimo edittale e la riduzione consistita, perciò, soltanto nel ricondurre la sanzione entro tale limite.
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