La dequalificazione è lecita se evita il licenziamento
A cura della redazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23926 del 25 novembre 2010, ha stabilito che la dequalificazione, se attuata al fine di evitare il licenziamento ed è accettata dal lavoratore, è legittima.
L'impossibilità della prestazione lavorativa quale giustificato motivo oggettivo di recesso del datore di lavoro dal contratto di lavoro subordinato, infatti, non è ravvisabile per effetto della sola ineseguibilità dell'attività svolta dal prestatore di lavoro, perché può essere esclusa dalla possibilità di adibire il lavoratore ad una diversa attività, che sia riconducibile alle mansioni già assegnate o a quelle equivalenti (art. 2103 c.c.) o, se ciò è impossibile, a mansioni anche inferiori, purché tale diversa attività sia utilizzabile nell'impresa, secondo l'assetto organizzativo insindacabilmente stabilito dall'imprenditore.
Il cosiddetto patto di dequalificazione (tra datore di lavoro e prestatore), quale unico mezzo per conservare il rapporto di lavoro, costituisce non già una deroga all'art. 2103 c.c. (norma diretta alla regolamentazione dello jus variandi del datore di lavoro e, come tale, inderogabile), bensì un adeguamento del contratto alla nuova situazione di fatto, sorretto dal consenso e dall'interesse del lavoratore.
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