La Corte di Cassazione, con la sentenza 26/04/2018 n.10138, ha deciso che ai fini del risarcimento del danno biologico sofferto dal lavoratore a seguito del demansionamento subito, non rileva la naturale predisposizione alla malattia psichica poi sviluppatasi a seguito della decisione datoriale.

Nel caso esaminato dalla Suprema Corte, un lavoratore aveva proposto ricorso al Tribunale del lavoro, affinché venisse riconosciuto il risarcimento del danno biologico cagionato dopo la revoca dell’incarico di posizione organizzativa e l’assegnazione di mansioni meramente impiegatizie, da svolgersi alle dipendenze di un responsabile dell’area di livello inferiore e prive di qualsiasi profilo di responsabilità.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno accolto il ricorso del lavoratore, accertando che la mansioni assegnate al dipendente dopo la revoca della posizione organizzativa fossero nettamente inferiori a quelle di inquadramento e quindi in contrasto con la declaratoria contrattuale propria del profilo di appartenenza.

Il datore di lavoro (ossia originariamente l’INPDAP poi confluito nell’INPS) si è rivolto ai giudici di legittimità, i quali però hanno condiviso la decisione dei giudici di merito, affermando che non è corretto l’assunto secondo cui la predisposizione personale alla malattia psichica sarebbe da intendere come concausa del manifestarsi del danno, dato che nulla autorizza ad affermare che la situazione di latenza della patologia si sarebbe conclamata in danno, senza il ricorrere dei fattori scatenanti afferenti alla vicenda penalistica e lavorativa puntualmente valorizzati dalla Corte d’Appello.

In particolare la citata Corte, avendo con la sentenza non definitiva già accertato il comportamento dequalificante, ha ovviamente tratto la conclusione della ricorrenza del nesso concausale, tra le vicende penalistiche/lavoristiche e la manifestazione del danno, concludendo poi in termini giuridici per la piena responsabilità datoriale verso il lavoratore, secondo il principio di equivalenza delle concause.

E’ quindi palese che, da quest’ultimo punto di vista, il motivo di ricorso per cassazione si basa su un presupposto, ovverosia il mancato accertamento di nesso causale tra comportamento datoriale e danno, che è erroneo, in quanto l’accertamento di quel nesso vi è stato e neppure sono stati spesi effettivi argomenti logici atti a porne in dubbio la fondatezza.