Licenziamento escluso per l’uso irregolare della procedura aziendale
A cura della redazione

La Corte di cassazione, con l’Ordinanza n. 23189 del 12 agosto 2025, ha deciso che se un lavoratore utilizza erroneamente la procedura automatizzata aziendale dei rimborsi spese per la trasferta non può essere licenziato per furto.
Nel caso sottoposto al giudizio della Suprema Corte, una lavoratrice era stata licenziata per aver ricevuto un rimborso spese prima liquidato per circa 900 euro e poi, dopo 5 mesi, ritenuto parzialmente indebito per circa 260 euro in relazione ad una trasferta di un mese.
Il Tribunale del lavoro ha dato ragione alla lavoratrice dichiarando insussistenti gli estremi della giusta causa e del giustificato motivo del licenziamento.
Diversamente, la Corte d’appello ha ritenuto la sussistenza del fatto contestato per avere la lavoratrice richiesto attraverso il portale aziendale l’accredito di circa 260 euro a titolo di rimborso spese di trasferta non autorizzabili in quanto non connesse alla prestazione di lavoro in base alla policy aziendale.
Più precisamente, secondo i giudici di merito a fronte della contestazione della società sulla non rimborsabilità delle medesime spese sarebbe spettato alla lavoratrice allegare specificamente e provare l’inerenza di tali spese alla trasferta, allegazione e prova che non erano state fornite.
Il fatto era inoltre connotato dalla massima gravità posto che allo scopo rilevava non solo l’ammontare del rimborso indebito, ma il fatto che la condotta, per la sua portata oggettiva e soggettiva, era espressiva della negazione dell’elemento fiduciario, in modo tale da porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento, in quanto la lavoratrice aveva ottenuto il rimborso delle spese utilizzando un sistema informatico aziendale automatizzato che agevolava i rimborsi, in quanto il controllo cartolare avveniva ex post.
La Corte d’appello ha quindi ritenuto che non potesse applicarsi la sanzione conservativa prevista dal CCNL per il mero mancato rispetto delle direttive in materia di rimborsi posto che il disvalore della condotta era assimilabile all’ipotesi del furto prevista dall’art 32 lett.C) CCNL come condotta che legittimava il licenziamento.
La lavoratrice si è così rivolta alla Corte di cassazione, la quale, richiamando le disposizioni sul concetto di giusta causa e giustificato motivo soggettivo di cui all’art. 2119 c.c. e art. 3 della L. 604/1966, ha ricordato che la contrattazione collettiva, non potendo derogare in peius le norme di legge, può però sempre introdurre una regolamentazione più favorevole e derogare in melius le stesse norme, come peraltro prevede, testualmente, l’art.12 della legge 604/1966 che fa salve le disposizioni dei contratti collettivi che in materia di licenziamenti individuali contengano condizioni più favorevoli ai prestatori di lavoro.
Ciò detto, l’assimilazione della condotta della lavoratrice al furto operata dalla Corte d’appello risulta errata e non congrua, dato che la lavoratrice si è limitata ad avanzare la richiesta di rimborso delle spese seguendo la procedura aziendale ed allegando i giustificativi che dovevano essere controllati dal datore di lavoro e che poteva anche ritenerli non suscettibili di rimborso.
Quindi, anche se la lavoratrice, per alcune spese, si era limitata a presentare le ricevute della carta di credito senza gli scontrini, il sistema di controllo aziendale avrebbe potuto rilevare l’irregolarità della richiesta, la mancanza della giustificazione e negare a valle il rimborso.
La Suprema Corte ha ritenuto illegittimo il licenziamento intimato, dato che la mancanza degli scontrini e la non inerenza di alcuni rimborsi spese per la trasferta appare riconducibile ad una irregolarità della richiesta rispetto alla policy aziendale, non ad un furto, né ad una frode e nemmeno ad un abuso.
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