Così si è espressa la Corte di cassazione con l’ordinanza n. 10730/2025 in sede di interpretazione dell’obbligo di garantire la sicurezza dei lavoratori ai sensi dell’art. 2087 del cod. civ.La mancata prova del mobbing nei confronti di una lavoratrice non implica l’esclusione da responsabilità datoriale dell’obbligo di garantire la salute e la sicurezza.Secondo i giudici della Cassazione, sulla base dei medesimi fatti allegati a sostegno della domanda di accertamento del mobbing, si configura comunque un'ipotesi di responsabilità del datore di lavoro per non avere adottato tutte le misure possibili e necessarie, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del lavoratore, attraverso mezzi di prova che devono essere esibiti dal datore di lavoro. Fermo restando che grava su quest'ultimo l'onere della prova della sussistenza del danno e del nesso causale tra l'ambiente di lavoro e il danno patito.Se la lavoratrice come nel caso specifico e cioè una promozione ad una posizione di responsabilità contro la volontà di questa per timore di compromettere il proprio stato di salute, non riesce a provare l’intento persecutorio tipico del mobbing, può però provare l’inosservanza dell’art. 2087 del cod. civ.Nel caso specifico si trattava infatti di consentire colposamente da parte del datore di lavoro alla lavoratrice, di permanere in un ambiente stressogeno fonte di danno alla salute ovvero mettendo in essere comportamenti, anche in sé non illegittimi, ma tali da poter indurre disagi o stress, che si manifestino isolatamente o invece si connettano ad altri comportamenti inadempienti contribuendo ad accrescere i rischi alla salute.Questi principi dovranno orientare i giudici di rinvio della Corte di appello per valutare l’entità dei danni patiti dalla lavoratrice e stabilire il relativo risarcimento.