La Corte di Cassazione, con la sentenza 3/05/2016 n.8707, ha deciso che il licenziamento per superamento del periodo di comporto è assimilabile, non al licenziamento disciplinare, ma a quello per giustificato motivo oggettivo.

Nel caso esaminato dai giudici di legittimità, una lavoratrice era stata licenziata per aver superato i periodi massimi di conservazione del posto di lavoro a seguito di prolungata assenza per malattia.

Secondo la Suprema Corte (che richiama le sentenze n. 23920/2010 e 11092/2005), il licenziamento per superamento del periodo di comporto è assimilabile ad un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, causale questa a cui si fa riferimento anche per le ipotesi di impossibilità della prestazione riferibile alla persona del lavoratore diverse dalla malattia.

Solo impropriamente quindi si può parlare di contestazione delle assenze, non essendo necessaria la completa e minuta descrizione delle circostanze di fatto relative alla causale e trattandosi di eventi, l’assenza per malattia, di cui il lavoratore ha conoscenza diretta.

Ne consegue che il datore di lavoro non deve indicare i singoli giorni di assenza, potendosi ritenere sufficienti indicazioni più complessive, idonee ad evidenziare un superamento del periodo di comporto in relazione alla disciplina contrattuale applicabile, come l’indicazione del numero totale delle assenze verificatesi in un determinato periodo, fermo poi restando l'onere, nell'eventuale sede giudiziaria, di allegare e provare, compiutamente, i fatti costitutivi del potere esercitato (si veda anche la sentenza n. 23312/2010).