Il “tempo divisa” va retribuito autonomamente se la vestizione avviene fuori dall'orario di lavoro
A cura della redazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza 1/07/2019 n.17635, ha confermato il principio più volte espresso (Cass. n. 19358/2010, 15492/2009 e 15734/2003) secondo cui se al lavoratore viene data facoltà di scegliere il tempo e il luogo per indossare la divisa (e quindi anche presso la propria abitazione prima di recarsi al lavoro) la relativa attività fa parte degli atti di diligenza preparatoria allo svolgimento dell’attività lavorativa e come tale non deve essere retribuita, mentre se tale operazione è diretta dal datore di lavoro, che ne disciplina tali tempi e luogo, allora rientra nel lavoro effettivo e come tale deve essere retribuito.
Questo principio è conforme alle disposizioni contenute nel D.Lgs. 66/2003 per cui il tempo divisa costituisce lavoro effettivo retribuibile tutte le volte in cui risulta essere eterodiretto dal datore di lavoro, che dirige ed organizza, tra le altre, anche le modalità di esecuzione di tale operazione.
In tal caso l’esatto adempimento preteso, anche in via implicita, dal potere datoriale non riguarda solo l’attività lavorativa in senso stretto, ma anche tutte quelle operazioni complementari o strumentali a quell’attività.
Nel caso preso in esame dai giudici di legittimità alcuni infermieri si erano rivolti al Tribunale chiedendo che venisse retribuito il tempo impiegato per indossare il camice e la mascherina utili per lo svolgimento dell’attività, così come il tempo della svestizione.
Nei primi due gradi di giudizio è risultata soccombente l’ASL alla quale appartenevano i lavoratori, dove è stato sottolineato che gli indumenti di lavoro adottati erano specifici e ben caratterizzati così da escludere che potessero essere indossati anche all’esterno dell’ambito lavorativo e da far ritenere, al contrario, che l’atto di vestizione costituisse lavoro effettivo e come tale dovesse essere retribuito.
La Corte di Cassazione ha condiviso le sentenze dei giudici di merito ricordando che nel rapporto di lavoro subordinato, il tempo necessario a indossare l’abbigliamento di servizio (c.d. tempo tuta) costituisce tempo di lavoro soltanto ove qualificato da eterodirezione, in difetto della quale l’attività di vestizione rientra nella diligenza preparatoria inclusa nell’obbligazione principale del lavoratore e non dà titolo ad autonomo corrispettivo (Cass. n, 9215/2012, 11828/2013).
Per quanto riguarda l’eterodirezione questa può derivare dall’esplicita disciplina d’impresa ma anche risultare implicitamente dalla natura degli indumenti – quando gli stessi sono diversi da quelli utilizzati o utilizzabili secondo un criterio di normalità sociale dell’abbigliamento – o dalla specifica funzione che devono assolvere e così dalle superiori esigenze di sicurezza ed igiene riguardanti sia la gestione del servizio pubblico sia la stessa incolumità del personale addetto.
In conclusione l'orientamento della giurisprudenza di legittimità è saldamente ancorato al riconoscimento dell'attività di vestizione/svestizione degli infermieri come rientrante nell'orario di lavoro e da retribuire autonomamente, qualora sia stata effettuata prima dell'inizio e dopo la fine del turno.
Riproduzione riservata ©