In via generale, l’attivazione di un piano welfare comporta per il datore di lavoro l’onere di dover sostenere dei costi aggiuntivi rispetto a quelli di base previsti dal CCNL applicato, dato che il welfare aziendale ha una funzione di integrazione economica sussidiaria alle esigenze di varia natura dei lavoratori e/o della loro famiglia mediante la messa a disposizione di risorse private aziendali.

Ma il welfare aziendale non può ridursi solo a questo. Infatti, tra le richieste maggiormente diffuse tra i lavoratori, prende sempre più piede l’esigenza di dover conciliare i tempi di vita e di lavoro, al fine di poter non solo sbrigare pratiche personali che sarebbero impossibili al di fuori del normale orario di lavoro, ma anche di gestire i familiari, soprattutto se trattasi di minori oppure di soggetti anziani che necessitano di sostegno nelle faccende di tutti i giorni.

Ecco allora che il datore di lavoro potrebbe introdurre in un piano welfare ad esempio il riconoscimento della flessibilità dell’orario di lavoro in ingresso e in uscita oppure concedere la possibilità di svolgere l’attività lavorativa, alcuni giorni della settimana o del mese, in smart working.

Soluzioni di questo tipo da un lato migliorano il rapporto dei tempi di vita e di lavoro dei dipendenti, aumentando di conseguenza il loro benessere e dall’altro lato per l’azienda avrebbero uno scarso se non nullo impatto sul costo del lavoro. Anzi, riconoscere tale opportunità ai lavoratori potrebbe portare ad un incremento della produttività e quindi ad un maggiore fatturato per l'azienda.