Cassazione Penale, Sez. 4, 01 settembre 2025, n. 30039 - Infortunio mortale dell'operaio durante le operazioni di movimentazione di tubi in acciaio nella Raffineria. Non è legittimo censurare il modello organizzativo perché "generico"

 

Il fatto

Il 28 novembre 2012, nell’“Isola 6” della Raffineria di Gela, un operaio della COSMI SUD Srl è morto schiacciato da un tubo caduto da una catasta instabile. L’area era stata improvvisata come zona di lavoro dopo un incendio, senza valutazione dei rischi. La catasta,19 tubi accatastati a piramide su puntelli di legno marci, era lì da sette anni, esposta alle intemperie. Nessuna verifica, nessuna manutenzione, nessuna revisione dei piani di sicurezza: una catena di omissioni che ha trasformato un cantiere in un luogo di pericolo.

Cosa è successo davvero?

  • Area non idonea: l’“Isola 6” non era progettata per saldature o movimentazione di materiali pesanti. Dopo l’incendio, le attività furono spostate lì senza analisi dei rischi.
  • Catasta instabile: tubi accatastati a piramide, puntelli di legno deteriorati, struttura compromessa.
  • Sette anni di abbandono: la catasta era lì da anni, esposta a pioggia e vento, senza controlli.
  • Rischio evidente: bastava un colpo di vento per far crollare la catasta.

 

Il ricorso

Gli imputati hanno contestato responsabilità e nesso causale. Tra le principali difese:

  • dirigenti e committenti: sostengono di essersi affidati a tecnici competenti e di non avere poteri impeditivi.
  • RSPP e preposti: contestano la visibilità del rischio e l’uso della perizia tecnica.
  • società: invocano l’idoneità del modello organizzativo ex D.Lgs. 231/2001 e l’assenza di interesse o vantaggio.

 

Il giudizio della Cassazione

La Corte di cassazione ha riconosciuto che l’infortunio mortale avvenuto presso la Raffineria di Gela è stato il risultato di una catena di omissioni, carenze organizzative e mancata gestione del rischio da parte di più soggetti coinvolti nel cantiere.

Ha confermato che:

  • l’area dove si è verificato l’incidente doveva essere considerata a tutti gli effetti un cantiere temporaneo, soggetto alle norme di sicurezza del D.Lgs. 81/2008.
  • la catasta di tubi era instabile e pericolosa, e il rischio era visibile e prevedibile.
  • le figure coinvolte nella sicurezza (committenti, coordinatori, responsabili dei lavori, RSPP, preposti) non hanno agito con la dovuta diligenza.

La Corte ha chiarito che il modello organizzativo non può essere censurato solo perché “generico”, ma deve essere valutato in relazione alla sua concreta attuazione.

 

Impatti e indicazioni operative per RSPP

Il ruolo dell’RSPP non è solo formale, esso deve: valutare attivamente i rischi reali, anche se non espressamente segnalati e comunicare criticità anche quando non richiesto, se emergono da osservazioni dirette o indirette.

I rischi “storici” vanno rivalutati: anche strutture preesistenti devono essere verificate nuovamente se vengono riutilizzate o se cambia il contesto operativo. L’RSPP deve aggiornare la valutazione dei rischi in caso di modifiche logistiche, ambientali o organizzative.

Il POS non basta se non è aderente alla realtà: deve riflettere le reali condizioni del cantiere, essere aggiornato tempestivamente in caso di modifiche.

L’RSPP risponde anche per omissioneuò essere ritenuto penalmente responsabile anche senza un’azione diretta, se ha omesso di segnalare o intervenire su un rischio evidente, ma anche se non ha potere decisionale diretto, se ha mancato nel suo ruolo tecnico.

Collaborazione e comunicazione sono fondamentali: coordinarsi attivamente con CSE, datori di lavoro, preposti e committenti e partecipare alle riunioni di coordinamento e verificare l’attuazione delle misure.

 

Di seguito in allegato il testo completo della sentenza (fonte Olympus).